Psiche & Covid

Il nostro mondo, come le nostre abitudini, è stato completamente stravolto dall’emergenza sanitaria dettata dal coronavirus. Questo ha significato passare da una situazione perlopiù di stabile routine, ad una dimensione di perenne emergenza, più o meno reale, ma indubbiamente angosciante dove le certezze della propria vita, ben radicate, si sono improvvisamente volatilizzate. I TG hanno fatto del loro meglio per rendere ancora più pesante, a livello psicologico, la situazione creando panico e paure irrazionali. Canali televisivi trasmettevano film con trame apocalittiche simili al contesto che stavamo vivendo, storie di virus dalle quali ci sarebbe stata la salvezza solo tramite vaccinazioni di massa. Il risultato è stato quello di vedere folle accorrere ai supermercati per riempire carrelli, neanche avessero ristoranti da gestire, attacchi di panico cresciuti a dismisura e un fortissimo incremento negli acquisti di ansiolitici. L’atmosfera di quei momenti ha lasciato e sta tutt’ora creando segni pesantissimi sulla psiche di molti, l’improvvisa realizzazione della totale precarietà della vita ha posto i più in uno stato di terrore, l’ignoto che incombe sulle nostre vite ha destabilizzato molte menti. La solitudine è stata quella che ha spaventato di più, il distanziamento, che si sarebbe potuto definire semplicemente fisico, è stato notevolmente reso gravoso anche dal termine usato non a caso, “sociale”: la socialità è diventata cosa proibita, da additare, i rapporti e le relazioni vengono devono essere visti come cose malsane, da untori. Il vuoto lasciato dalla mancanza di socialità, ha reso ancora piu visibile il vuoto interiore di molti, il guardarsi dentro è stato per molti paralizzante, come vedere gli scaffali del supermercato svuotati durante il primo lockdown. Probabilmente il cibo, il confort food, è stato ampiamente ricercato per soddisfare la fame di nutrimento dell’anima, il comprendere che nulla è controllabile, come invece si credeva, ha fatto implodere quest’illusione, facendoci capire come la nostra natura sia estremamente precaria e come i nostri limiti stiano bussando prepotentemente alla porta per un confronto. Le caratteristiche di molti, in questo periodo di difficoltà si sono ampiamente acutizzate ed estremizzate: picchi di presunzione, narcisismo, egoismo, ipocondria fanno da sponda a innumerevoli frustrazioni vissute. La pressione è indubbiamente forte e probabilmente anche per questo motivo si è sentito il bisogno di trovare il paziente 0, l’untore, la colpa bisogna pur darla a qualcuno. Ora Ci troviamo con varie fasce di categorie lavorative che stanno soccombendo a forza di lock down, piu o meno efficaci, e le masse, regredite sempre più, non si uniscono per combattere il sopruso che alcuni lavoratori subiscono più forte di altri, anzi tendono quasi ad ingigantirlo, quasi a scaricare la propria coscienza con un giustizialismo a tutti i costi. E cosa dire della quarantena, degli ospedali attrezzati appositamente per ospitare/parcheggiare i portatori del virus? Cosa subisce la psiche di una persona malata, privata di ogni affetto, isolata ed angosciata? E i parenti che si ritrovano un messaggio in segreteria che annuncia che il proprio caro non ce l’ha fatta e che forse non potrà neanche essere salutato con un funerale? Più ci troviamo a vivere queste situazioni, più dimostriamo certi comportamenti, indubbiamente di difesa ma che dovrebbero portarci a riflettere. E’ esatto dire che siamo viviamo in una società? Che cosa prevede la nostra società in termini di aiuti? Chi è e cosa rappresenta l’Altro per noi? Noi stessi, considerando come cambiano i nostri comportamenti sotto pressione, chi siamo veramente? Fino a che punto siamo in grado di rapportarci con gli altri? Fino a che punto siamo in grado di aiutare il prossimo? Non mi riferisco alla donazione ai bambini del terzo mondo, cosa peraltro nobile, intendo il vicino di casa che non riesce a mettere assieme il pranzo con la cena… e soprattutto come si utilizza il tempo libero? Prima c’erano i bar, i ristoranti, cinema, teatri, discoteche, chiese, per chi voleva c’era sempre la scusa di non avere mai il tempo per fare certe cosa, per guardarsi dentro, troppa era la frenesia. Ma ora? Alcuni sono schiacciati da questa dilatazione di impegni, subiscono i ritmi più diluiti, non riescono a vederla come un’opportunità, e questo lo si vede dall’ansia crescente che molte persone dimostrano. Quando i ritmi sono incalzanti, si invoca tempo libero, quando lo si ha, ci si spaventa. Basterebbe zittire il continuo rimuginare di eventi e fatti passati per dedicarsi attivamente alle proprie passioni ed interessi, ad occuparsi di più di sè stessi. Personalmente sono stata subissata sia da richieste di trattamenti a distanza che da domande sul futuro quasi il divino si fosse rifugiato in casa mia per il lockdown. Nei momenti di maggior difficoltà si vede una spaccatura netta tra le persone, c’è chi regredisce proiettando su altri le proprie richieste e i propri bisogni e chi invece cerca di trasformare il momento di blocco imposto in un’opportunità di crescita, l’evoluzione c’è sempre, a noi sta la scelta di decidere se farlo con consapevolezza, per dargli finalmente un senso.